Postato il: 25-01-2008 @ 06:34 pm -- letto 4646 volte
Da: LA VALLE DELLE FATE (scritta dalla nonna per Himeko)
C’era in un paese lontano, circondato dal mare blu, una piccola casa bianca appoggiata sugli scogli, in cui viveva una famiglia di pescatori.Erano molto poveri, ma vivevano in pace e ringraziavano il cielo ogni volta che il babbo tornava con la barca colma di pesce ancora guizzante.
Tano, il più piccolo della famiglia era un sognatore e spesso doveva essere chiamato a gran voce tanto era preso ad ascoltare i suoi pensieri di fantasia e non sentiva la voce della mamma che lo chiamava per andare a raccogliere fascine ai piedi della montagna incantata.
Tano era un bel bambino bruno che aveva tanta voglia di giocare e riusciva a farlo anche quando si occupava di cose serie, come raccogliere legna per il camino, oppure aiutare il babbo a ripulire la barca. Era silenzioso ed obbediente, ma pochi sapevano perchè. Lo sapevano solo le fate della valle che avevano le loro case nascoste tra i fiori di biancospino.
Era accaduto tutto in una notte d’estate, quando Tano che allora aveva appena sette anni, si era perduto andando a raccogliere bacche con i suoi fratelli. Si era allontanato per seguire il volo di una farfalla azzurra ed improvvisamente si era trovato in una radura sconosciuta mentre il sole scendeva all’orizzonte.
Aveva chiamato a gran voce, ma non aveva ricevuto risposta, mentre nello stesso tempo i suoi fratelli tornati a casa avevano scoperto che il più piccolo mancava all’appello ed insieme al papà ed alla mamma avevano iniziato le ricerche.
Tanto, stanco ed un pò impaurito si era addormentato vicino a una grande siepe di biancospino, dopo avere pianto un pò per la sua solitudine e per la fame che faceva brontolare il suo stomaco.
Fu svegliato da un pianto sottile e piccino, si guardò intorno ed alla luce della grande luna d’argento che illuminava tutta la piccola valle si accorse che vicino ai suoi piedini scalzi, una lucciola si muoveva in modo scomposto, come se fosse intrappolata tra i fili d’erba.
Tano dimenticò per un attimo la sua paura e la sua fame e si avvicinò fino ad avere la lucciola vicino al suo nasetto a patata.
Per un attimo pensò di sognare ad occhi aperti, perchè quella che vedeva non era una lucciola, anche se ne aveva il chiarore. Era una minuscola figuretta di bambina, con i capelli lunghissimi ed arricciolati, che cercava di districarsi da alcuni fili d’erba pelosa che la tenevano prigioniera, e più cercava di liberarsi e più restava impigliata tra le piccole ventose delle bocche di leone.
Tano si sdraiò a pancia in giù dimenticando tutte le sue preoccupazioni e si mise a guardare quella figuretta stizzita e quando si accorse che piangeva calde lacrime decise di aiutarla, la prese delicatamente tra le dita come avrebbe fatto con la farfalla azzurra e la liberò dai fili d’erba pelosa.
La piccola prigioniera, adesso era felice e seduta sopra una corolla di biancospino sorrise a Tano e lo ringraziò per averla tolta d’impaccio, poi lo guardò dritto negli occhi bruni e dolci come quelli di certi coniglietti, scosse un campanellino d’argento che portava appeso alla sua cintura ed in meno di un attimo intorno a loro fu pieno di presenze luminose.
Tano non lo sapeva ancora, ma il suo gesto gentile aveva liberato “Ali d’argento” la più piccola delle figlie della regina delle Fate, che da millenni vivevano nella valle, senza che il popolo degli uomini lo sapesse, anche se talvolta alcune nonne sagge narravano storie di fate e di folletti che tutti credevano inventate per la gioia dei più piccini, ma ad ogni buon conto si guardavano bene dal distruggere le tonde siepi di biancospino che crescevano spontaneamente in molti posti dell’isola dei gelsomini.
Fu appunto la regina che venne, sul suo cocchio tirato da quattro libellule, a recuperare la sua piccola scapestrata e fece a Tano un dono speciale che doveva restare segreto e non doveva essere rivelato ad alcuno.
“ Io Regina Melusia ti nomino ufficialmente e da questo istante Giocattolaio del regno delle fate, purchè tu continui ad essere ciò che sei, senza mai perdere la pura fantasia.
Ti concedo inoltre di tramandare la tua nomina ai tuoi discendenti finchè tra loro esisterà un cuore tenero e sensibile come il tuo.
Ed ancora, ti concedo il permesso di partecipare alla grande festa segreta di “mezzagosto” ogni volta che lo vorrai, sempre che il tuo cuore non sia stato contaminato dall’aridità del popolo degli uomini.”
Dopo avere pronunciato questo discorso, la regina Melusia toccò Tano sulla fronte che da quel giorno portò impresso un simpatico neo ( che se fosse stato visto con una lente di ingrandimento, molto potente, avrebbe rivelato lo stemma gentilizio della regina delle fate).
Detto e fatto tutto questo, la regina Melusia fece portare al piccolo Tano, il cui stomaco brontolava ormai senza ritegno, delle grandi foglie di vite su cui giacevano in bell’ordine tanti piccoli involtini di fiori, che il piccino mangiò, vergognandosi un pò della sua fame e della sua avidità: bevve un liquido dolcissimo dal calice di un giglio, ed improvvisamente la sua fame e la sua sete sparirono come per incanto.
L’alba che veniva dal mare toccò con le sue mani fresche di salsedine la fronte del piccolo ancora addormentato, mentre il vento del mattino portò alle sue orecchie le voci disperate dei suoi familiari che lo chiamavano con quanta voce avevano in corpo.
Si svegliò di botto e cominciò a chiamare il papà e la mamma che in poco tempo lo raggiunsero e dopo averlo abbracciato ed essersi assicurati che era sano e salvo, lo rimproverarono aspramente per la paura che tutti si erano presi quando non era tornato a casa.
Tornato a casa, mangiò voracemente il pane bagnato nel latte e lo trovò buono come il nettare delle fate che........pensava di avere sognato.
La mamma, mentre gli lavava il viso e ravviava i suoi riccioli neri un pò ribelli, notò quel neo che non ricordava di avergli mai visto, ma pensò che forse si era abilmente nascosto fino a quel momento sotto qualche ricciolo scomposto e non ci pensò più.
Il bimbo raccontò della farfalla azzurra, della sua paura e della sua stanchezza, ma non fece parola di Ali d’argento nè della Regina Melusia, perchè era un ragazzino di parola..........e poi.........anche se avesse potuto raccontare la sua avventura non lo avrebbero creduto affatto. Continuò la sua vita di fanciullo sano ed obbediente, silenzioso amico delle piccole creature della valle, accadde così che quando ebbe dieci anni ed il compito di condurre al pascolo le due caprette nere, in estate poté restare nella radura, poichè aveva dimostrato saggezza e responsabilità, a trascorrere le prime notti all’aperto e fu così che accadde anche nella notte di mezza estate, che lui aspettava da anni, dalla notte della farfalla azzurra........
Aveva con se le scorte che la mamma aveva preparato per lui, del formaggio e del buon pane fatto in casa, dell’acqua fresca di fonte ed un piccolo zufolo di legno che aveva intagliato con le sue mani.
Infatti con la massima semplicità e senza alcuno sforzo aveva imparato ad intagliare il legno più dolce e ne faceva piccoli animali e zufoli e piccoli gufi che poi donava alla mamma ed ai suoi fratelli che giocavano lieti con questi piccoli doni che sembravano rendere felice anche il bimbo più povero.
La notte era stellata, una grande luna d’argento all’orizzonte sembrava appoggiata dolcemente sulle onde del mare, che pareva imprigionassero tanti piccoli bagliori, mentre il cielo sembrava di morbido velluto blu ornato di piccoli diamanti.
L’aria fresca, portava dalle spianate d’oltre mare, un profumo intenso di gelsomini che salivano al cielo assieme alle dolci note che Tano soffiava piano piano nel suo zufolo, mentre pensava alla notte fatata che era rimasta intatta nella sua memoria.
Ad un tratto sentì uno strano canto sottile che si univa alle sue note mentre con il cuore più che con le orecchie, sentiva parole e parole.......e parole così:
“ .........e vennero le fate,
prima tra i gigli tutte addormentate
e vennero alla luce della luna,
perchè di loro ne mancava una........
la più piccina ed anche la più bella
chiamò le altre con la campanella
e vennero veloci trasportate dal vento....
per ritrovar con Tano ......Ali d‘argento.......”
Tano sentì una grandissima emozione e si guardò intorno, il cerchio del biancospino era soffuso di chiarore, ornato di fili di ragno impreziositi di piccole gocce di rugiada, mentre minuscoli cocchi fatti di fiori, tirati da libellule e farfalle
arrivavano leggeri e silenziosi.
Intanto l’aria si riempiva di piccole voci e canti mentre Melusia faceva il suo ingresso scortata dagli elfi e seguita da “Ali d’argento” oltre che da un gran numero di piccole fate.
Tano si guardò intorno felice, ma aveva paura che muovendosi avrebbe potuto fare del male alle sue piccole amiche e se ne stava li impietrito ma pieno di felicità.
Melusia capì il suo disagio ed entrando agevolmente nei suoi pensieri gli chiese se avrebbe voluto divertirsi con loro, sentì chiaramente la risposta del ragazzino e gli impose di chiudere gli occhi e pensare fortemente:
“ Luna d’argento che dormi sul mare
come un elfo fammi diventare
tutta la notte fino al mattino
alla luce del sole tornerò bambino”.