Postato il: 21-04-2012 @ 12:01 am -- letto 1936 volte
Ricordo con piacere l’attività che si svolgeva in barracca, il fatto che fosse frequentata anche da persone diverse dall’ambito familiare e lavorativo, era un elemento di novità in una realta immobile e statica come quella.
Come detto era un locale che poteva ospitare diverse persone, per cui capitava che pernotasse il carbonaio, oppure su “Pillonadori” (L’uccellatore) o altri lavoratori avventizi non necessariamente alle dipendenze del proprietario della barracca.
Il carbonaio era un lavoro piuttosto diffuso in quel periodo, generalmente si trattava di un lavoro autonomo; tramite accordi
Di varia natura col proprietario della foresta, si provvedeva al taglio della legna “ sa trunca” la si portava in una piazzola appositamente approntata sul costone della collina e si preparava “Sa fogaia”, una catasta di forma circolare con i tronchi disposti in modo da formare una cupola, al centro della quale c’era un pozzeto di sezione quadrata che partiva dalla base, ricavato durante la costruzione della catasta che serviva per l’accensione e “Po donai a pappai sa fogaia” (per alimentare la pira).
La catasta veniva ricoperta di frasche fresche e poi da uno strato di terra, era un lavoro lunghissimo e faticoso che poteva durare mesi a seconda delle dimensioni della “fogaia”che potevano essere ragguardevoli.
Durante questi lavori preparatori il carbonaio pernottava in barracca con il pastore, o proprietario che fosse in quanto ci si conosceva tutti.
A questo punto “Sa fogaia” era pronta per essere accesa, la si accendeva dal pozzetto della sommità della cupola, con dei legnetti secchi preparati appositamente, una volta avviata la combustione, che avveniva in mancanza di ossigeno,il pozzetto veniva chiuso con frasche e terra come il resto della catasta e riaperto solo per il tempo necessario per alimentare il fuoco e immediatamente richiuso.
Da questo momento “sa fogaia” doveva essere sorvegliata ininterrottamente, e da segni che il carbonaio esperto conosceva, anche alimentata periodicamente, fino a quando il fuoco “Ndi arziada a pizzus” (saliva su) dalla base della fogaia.
A questo punto si chiudeva definitivamente il pozzetto sulla sommità, era il segno che la parte centrale della catasta era carbonizzata.
Il mantello di terra che ricopriva sa fogaia “sudava” di vapore acqueo, segno che il processo di combustione anaerobica andava a buon fine.
A quel punto il carbonaio praticava dei fori di aerazione con dei bastoni “fruconis” sulla parte bassa della fogaia, affinche il fuoco alla ricerca dell’ossigeno, tornasse giù in discesa per finire l’opera di carbonizzazione del resto della catasta.
Era un processo delicato, e il rischio di perdere il lavoro di mesi imponeva la sorveglianza ininterrotta per tamponare con terra i tentativi di fuga del fuoco, infatti lo si faceva in due o tre persone per darsi il cambio e approvvigionare le cibarie e quantaltro serviva.
Quando erano accese le fogaie, emettevano un fumo azzurro e un profumo dolciastro, si spandeva per il territorio circostante.
Finita la combustione, il carbone era pronto; dopo un certo numero di giorni di raffredamento la pira collassava; era il momento de “Sciorrai sa fogaia” i tronchi carbonizzati restavano quasi intatti, e se “Trinianta” (tintinnavano) voleva dire che era di ottima qualità; veniva venduto nelle rivendite dei paesi circostanti.
L’altra figura menzionata come frequentatore abituale della barracca, era “Su pillonadori” (L’uccellatore) dedito alla cattura degli uccelli “Pillonis de taccula” (Grive) tordi e merli, che sono un’autentica prelibatezza, la cattura si praticava con le reti, o con “Is lazzus de piu” (lacci fatti con crini di cavallo), i lacci venivano fatti con i crini della coda del cavallo maschio, e c’era un motivo preciso per questa scelta, infatti la coda del cavallo maschio non era inquinata dall’urina, e quindi garantiva resistenza e durata per un tempo più lungo.
Su “pillonadori” usciva all’alba per piazzare nuovi lacci, e rientrava all’imbrunire con gli uccelli catturati, da quelli piazzati i giorni prima.
Queste persone avevano il permesso rilasciato dalla questura, e gli uccelli cacciati venivano venduti a persone che provvedevano a spiumarli e cuocerli in grandi calderoni, per poi metterli ad insaporire coperti da rametti di mirto.
Come detto; essendo una prelibatezza, era un prodotto che non aveva problemi di mercato veniva venduto nelle città, e pure in continente sembra si esportassero.
Queste persone, la sera attorno al fuoco a prepararsi un pasto caldo, raccontavano storie, non si sa se vere o inventate ma era un modo di attenuare la profonda solitudine che gli imponeva il loro “mestiere”.
Noi bambini ascoltavamo affascinati i loro racconti, e cominciavamo a imparare anche alcuni rudimenti dei loro “mestieri”.
Della barracca ricordo con nostalgia le colazioni fatte con “su casu axedu” e su latti cottu; l’odore; un odore acre di fumo, di cisto ,di sigaro, di ricotte salate appese ad affumicare, e di schidionate di uccelli, mangiati con su pani “arridau” sfregato con lardo od olive nere .
Non era raro l’evento che sa barracca, venisse distrutta da un incendio, visto i materiali con cui era costruìta, questi eventi erano perlopiù dolosi, la rivalità e l’invidia tra vicini di pascolo generava, continui conflitti, che a volte sfociavano con questo genere di atti vandalici.
La cura e le attenzioni delle persone che la occupavano erano tali, da escludere quasi totalmente l’incendio accidentale.
Presi dal furore del modernismo che ha portato a cancellare sistematicamente le vestigia del passato, di queste costruzioni così ben strutturate e ben costruite, purtoppo non e rimasto niente, salvo qualche muretto perimetrale, e anche quella grande sughera cava adibita a ricovero dell’asino e delle galline non c’è più: distrutta da un incendio, piaga endemica ormai nella nostra terra.
Commento: Ciao, veramente belli da leggere questi tuoi ricordi!! Si avverte la partecipazione emotiva e lo stupore di bambini che entrano in campi di lavoro, di indubbia responsabilità ed impegno, in modo quasi giocoso e conservano, negli anni, il ricordo degli odori, dei sapori e, soprattutto il perché di ogni cosa vada fatta in un certo modo. Grazie...non credo di essere particolarmente suggestionabile, ma mi sembra di sentire profumo di mirto!! ;-)
Commento: Caro canifuendi chi li ha vissuti lo sa .Si usa dire.. bei tempi.. quando si parla del passato ma di quel tempo l'unica cosa di bello è che è passato ,erano tempi duri si mangiava pane e sudore ..quando il pane c'era ,quando sento le persone che si lamentano mi viene da dire ciò che mi diceva mio nonno quando mi lamentavo io (PIGAU SU FAMMINI DE SU 43)(tornasse la fame del 43)....ma no lasciamo tutto così..per male che vada il peggio resta nel passato (speriamo ).
Commento: Il tuo lusinghiero commento Betty...mi fà un immmenso piacere..(vista la tua notoria parsimonia in questo campo)..è come avessi vinto il premio bancarella!!!
Grazieee..
Commento: Carissima Terry..non ho particolari nostalgie del periodo, come ho detto, sto provando a fissare quei ricordi che mano a mano che si dipanano, a volte mi emozionano a volte mi fanno sorridere, ma mi hanno dato un bagaglio di esperienze e antichi saperi, che se continua così...temo che dovrò rispolverare....e ringrazio di averli vissutti....
Commento: No canifuendi speriamo di non dover rispolverare niente ,io non ho più l'età per andare a lavare i panni al fiume come faceva mia madre ,però per certe ragazzine che fanno la doccia quattro volte al giorno cambiandosi ogni volta dalla testa a i piedi (io ne ho una in casa )non sarebbe male .