Postato il: 09-12-2012 @ 11:47 pm -- letto 2416 volte
Il maiale si teneva legato ad un piede con sa “sciampetta” un braccialetto di ferro forgiato dal fabbro che veniva rivestito di stoffa per non ferire l’animale, e veniva alimentato con fave, siero di latte, erbe e frutti di stagione; (fichi d’india, pere cadute spontaneamente dall’albero, e tutto quel che di comestibile si poteva rimediare per questo poco schizzinoso animale) imperativo assoluto era che ingrassasse il più possibile, e lui non aveva bisogno di preghiere particolari per assecondare il volere del padrone, visto anche il corto raggio della catena, e quindi il poco movimento che faceva, il maiale ingrassava a dismisura tanto che capitava che quando si avvicinava il momento della macellazione fosse tanto grasso e pesante da non poter reggersi in piedi, ma questo era lo scopo; lo strutto “s’ol’è procu” , con l’olio d’oliva e “s’ol’è stincu” (olio di lentisco) erano i condimenti che non potevano mancare nelle case contadine dell’epoca.
Ma torniamo al punto precedente: al maiale.
Raramente; perlomeno i più poveri non avevano un locale appositamente destinato a porcile, per questo motivo veniva tenuto alla catena nello spiazzo davanti a casa, essendo un “capitale” prezioso, per paura del furto la notte veniva ritirato nel vano che si ricavava sotto la platea del forno, se non era occupato dalle galline, in caso contrario veniva “ospitato” in cucina assieme alle galline; naturalmente in “camere” separate; il maiale in una grande cassa di legno; le galline in una stìa fatta in vimini e canne.
Oggi queste cose sono inconcepibili, e il maiale in cucina fa innorridire, ma in quel periodo gli animali di bassa corte erano risorse importanti per l’economia famigliare, e il furto del maiale,delle galline o dell’asino gettava le famiglie nella più nera disperazione.
L’uccisione del maiale era una “festa”; per il povero animale, (anche se non sembrava troppo contento), e per i proprietari ma in un modo o nell’altro coinvolgeva tutta la piccola comunità, nel senso che tutti davano una mano di aiuto, che veniva senz’altro restituita
Mio padre era molto bravo nella preparazione del maiale, tant’è che era richiesta la sua opera in molte famiglie del circondario.
Si cominciava di prima mattina, ed era tutto un lavorìo di varie persone, tralascio la parte più truculenta dello “scanno”, ma come si sa del maiale non si butta via niente si cominciava con il raccogliere il sangue in una scivedda, agitato continuamente con un cucchiaio di legno, e additivato con sale e altri ingredienti affinchè non coagulasse, veniva aggiunta uva sultanina, Gherigli di noce, e altri aromi a piacere, veniva poi insaccato con le parti grosse dell’intestinuo tenue; naturalmente perfettamente lavato, veniva poi bollito in un calderone, ogni tanto veniva punto con uno stecco, da lì le massaie pratiche capivano il giusto punto di cottura , veniva quindi appeso ad asciugare su delle canne a mò di un caciocavallo ed ecco pronto il “sanguinaccio”
Un’assoluta prelibatezza non facilmente reperibile ai giorni nostri.
Facciamo un passo indietro; finito il dissanguamento era il momento di “abbruschiai su procu” veniva fiammeggiato con sa “scrarìa” un arbusto fronzuto e spinoso, che veniva estirpato tempo prima affinchè il giorno dell’evento fosse ben asciutto.
Una volta che le setole erano ben bruciate, il maiale veniva lavato e pulito con cura, e noi ragazzini ci brigavamo le orecchie e la coda, per mangiarle subito appena mozzate.
Si passava alla macellazione vera e propria, gli intestini; quelli fini erano destinati per insaccare la salsiccia, quello grosso tenue, per insaccare il sanguinaccio; la corata era destinata al pranzo conviviale di tutti i partecipanti all’operazione.
La maggior parte della carne del maiale finiva in salsiccia perché nella nostra zona non c’è il clima adatto a stagionare i prosciutti, la salsiccia e il lardo, assieme al formaggio erano il companatico principale da portare in “sa munciglia” (lo zaino) per il pasto che si consumava in campagna.
Per tutta la giornata era un continuo tagliare, affettare, friggere
“gerdas” (ciccioli) per ricavare lo strutto “s’ol’è procu” risorsa importante per le famiglie dell’epoca, che di colesterolo non avevano mai sentito parlare, e comunque con la continua attività fisica (leggi lavoro) che tutti esercitavano , avrebbero bruciato non solo colesterolo e trigliceridi ma anche i sassi.
A fine giornata giungeva il momento delle “dazioni”, noi bambini avevamo l’incarico di portare un pezzo di carne alle famiglie del vicinato “un’arrogheddu po tastai”.
Vale la pena ricordare; visto che è stato menzionato “s’ol’è stincu” un’olio essenziale che si ricava dalle bacche di lentisco.
Le bacche son palline tondeggianti delle dimensioni più o meno di un grano di pepe, venivano raccolte nel tardo autunno, quando la maggior parte erano giunte a maturazione.
La miseria induceva la gente a sfruttare tutte le risorse che offriva la natura, e “s’orestincu” era una di quelle.
Le bacche erano di un bel nero lucente, e si raccoglievano praticamente; (viste le piccole dimensioni dei frutti) operando una specie “mungitura” della pianta di lentisco, quando si raggiungeva una conveniente quantita di prodotto raccolto, mondato e lasciato “a martì” (riposare) si procedeva alla spremitura dei semi.
La spremitura si eseguiva mettendo “s’orestincu” dentro un sacco di juta e tuffato in acqua bollente, poi in un tavolo di legno inclinato con una stanga di legno legata di traverso si pigiava sul sacco tenuto con una mano, e con l’altra a mò di remo sulla stanga, ogni tanto veniva rituffato nell’acqua bollente e rema e rigira, rituffa e rema, fino a quando dal sacco bagnato visibilmente non usciva più un filo d’olio, ovviamente il liquido raccolto da questa spremitura veniva raccolto in un calderone che poi veniva messo a bollire fin tanto che l’olio si separasse dalla morchia e affiorasse in superficie, a questo punto veniva lasciato riposare affinche dopo un certo tempo di decantazione l’olio affiorato era pronto per essere spillato dalla superficie del contenitore.
S’ol’èstincu era un’olio acre che si usava soppratutto, per condire sapidissimi minestroni di legumi, se usato da solo scaturiva esalazioni tossiche tali, da far rischiare il soffocamento a chiunque si trovasse nella stanza, per neutralizzare quest’effetto indesiderato veniva messa una o due fette di pane a friggere sull’olio e noi bambini (ma non solo) si faceva a gara a chi si aggiudicava quella squisitezza.
Ora quest’olio si produce a scopo officinale, capita di vederlo in vendita in boccettine a prezzi proibitivi, chi avrebbe mai immaginato che un prodotto sinonimo di nera miseria, diventasse un introvabile e carissimo prodotto di nicchia.
Commento: IL sanguinaccio !!quanto mi piaceva da bambina ,poi ho scoperto cos'era e come era fatto e non l'ho mangiato mai più .L'olio di lentischio invece mi piaceva quando mia nonna ci faceva i zippulasa lo mischiava con l'olio d'oliva ,io andavo con lei a raccogliere le bacche poi a casa nonno aiutava a schiacciare il sacco perchè lui aveva più forze di nonna >l'aveva fatto lui ,non erano bei tempi ,perchè erano tempi di carestia però sono dei bellissimi ricordi .BRAVO CANIFUENDI!
Commento: Grazie Terry per il tuo puntuale commento, vedo che abbiamo percorso strade quasi parallele, visto che sai bene di cosa parlo.
A volte mentre ne scrivo mi sembra di essere un alieno, e sono sicuro che a parte pochi..."eletti"... l'olio di lentisco non solo non lo hanno assaggiato, ma neppure sanno cosa sia. Mi sta balenando l'idea di provare a farlo prima che la cosa sparisca sotto un velo di oblìo...e prima che si estinguano gli anziani capaci di farlo, a cui chiedere consiglio, visto che alcune fasi della sua lavorazione non le ricordo nella giusta sequenza.
Commento: sai io ho un figlio panettiere e ogni tanto fanno le pizzette con l'olio di lentischio ,c'è un signore che glielo porta ,ma il gusto di quelle pizzette !!hanno il sapopre dell'infanzia !!
Commento: Scopri il nome del produttore di ol'estincu..che fornisce il panettiere, vorrei fargli un'intervista..così nel prossimo autunno mi metto all'opera.....
Commento: vai a nuxis chiedi di salvatore (totore)arceri ,non immagini quante cose fa ,insegna anche nelle scuole le arti antiche ,ha anche un museo tutto personale di attrezzi antichi ,ci devi andare è molto interessante.
Commento: Grazie Terry ci andrò senz'altro, e gli farò tante di quelle domande, che mi dovrà rispondere per forza, magari sotto minaccia di fargli leggere il mio libro per intero....(Si non mi nci bogada a son'è corru, o a scuppettaras).....
Commento: tranquillo totore è una persona speciale !!è innamorato del passato ,ti sorprenderai nel vedere quante cose è riuscito a raccogliere ,cose che parlano di altri tempi .
Commento: Sai, EmmePi, che mi hai fatto rivivere dei momenti dell'infanzia un po' belli e un po' brutti? Premetto che non avevamo noi il maiale, ma una cantina abbastanza capiente in cui il macellaio veniva a giustiziare il "porcello". La parte brutta era il grugnito infuriato, quando si dimenava per le zampe legate con il cordino, che diventava un lamento indimenticabile nella fase truculenta che tu hai omesso. Dopo, tutto rientrava nella norma e si procedeva al confezionamento del sanguinaccio che qui non viene insaccato, come dici tu, ma fatto cuocere con uvetta, pinoli, scorzette d'arancia ed un po' di cioccolato e poi messo in insalatiere di coccio a raffreddare. L'ho sempre mangiato molto volentieri finché ne ho fatto indigestione e, da allora, non l'ho più toccato!! :-/ Fino a qualche anno fa, i macellai ancora lo producevano, ma ora hanno smesso e, nelle famiglie, è veramente raro che venga fatto e, quando accade, è il cacao che prevale sull'ingrediente di base, quindi di tradizionale rimane poco. Per le salsicce, sì, il procedimento era uguale, ma anche quella era un'arte, perchè bisognava dosare la quantità di macinato, altrimenti i budellini, molto sottili, scoppiavano. Perché me lo lasciassero fare qualche volta dovevo piangere in greco :-D e qui mi riallaccio al lentisco. No, non conoscevo quest'olio, ma tu e Terry mi avete incuriosito e, siccome ho scoperto che a Escalaplano, l'ultima domenica di maggio, c'è una sagra dedicata all'olio di lentisco prodotto con il metodo tradizionale, non a torchio, e al formaggio axridda, se mi fate da ciceroni, comincio a farci un pensierino!! Grazie per questo tuo ricordo con cui sei andato a "sfruguliare" momenti emotivi in stand-by :-*
Commento: Grazie carissime amiche Betty e Terry per i vostri commenti, trovo una cosa bellissima che la rievocazione di fatti del passato da parte mia, abbia risvegliato ricordi accomunabili anche di diverse regioni del nostro paese.
A parte la malinconìa della passata fanciullezza, questo scambio "cultural popolare" mi ha fatto prendere i due classici piccioni con una sola fava: tramite Terry ho scoperto che non lontano da me esiste una persona che ancora fà "Sol'è stincu", e tramite Betty mi giunge da oltretirreno una "nuova" che non sapevo, che nel paese di Escalaplano ne fanno addirittura una sagra..Una meraviglia!!!!!!!
PS..Carissima Betty non solo sono disposto a farti da cicerone, ma avendo una casa grande, son disposto a darti anche ospitalità ....per la modica cifra di soli 150 euro al giorno.....una pacchia!!!!!!!