Postato il: 04-08-2013 @ 12:50 am -- letto 1990 volte
Il mio primo contatto con la “civiltà” fù proprio a Cortoghiana; mio padre era originario di un villaggio nelle vicinanze di questa grossa frazione, e fummo invitati a pranzo per un qualche evento da una sua sorella, come detto, Carbonia oltre ad essere diventata in pochi decenni una grande città di minatori naturalmente offriva anche servizi accessori, tra questi anche l’autonoleggio.
Mio padre noleggiò una macchina per andare a questo pranzo, e
quando giunse il giorno della visita, l’ansia si tagliava a fette; nessuno di noi piccoli era mai salito su una vettura, men che meno era mai andato in un grosso centro abitato, quando vedemmo arrivare la macchina; una fiammante Topolino giardinetta “belvedere” con gli sportelli di legno; col senno di poi posso dire che era un autentico gioiello.
Un tumulto di euforìa, curiosità e paura mi pervase, stipati dentro la macchina partimmo verso l’ignoto; un “mondo” sconosciuto e misterioso; la casa della zia di Cortoghiana.
Finalmente la macchina partì, col cuore in gola noi passeggeri cominciammo a provare l’ebbrezza della velocità era una sensazione nuova, piacevole e inebriante, vedere il sig Melis (così si chiamava il noleggiatore) che tirava leve, spingeva pedali, e schiacciava bottoni, con la massima naturalezza, e così facendo faceva viaggiare la vettura a grande velocità, nella mia fantasia lo vedevo come un mago: un superuomo.
Come detto era la prima volta che io e miei fratelli viaggiavamo in automobile, e per mio padre non dovevano essere molte di più, visto i continui richiami alla prudenza all’autista che secondo lui correva troppo. (naturalmente tra me) pensavo “ma s’iada podi cittì”..(ma stai zitto e lascialo fare) proprio ora che siamo sul più bello.
Finalmente arrivati a destinazione e concordato con l’autista l’ora del rientro ci avviammo verso la casa della zia, e in quel breve tratto che percorremmo a piedi mi sembrò di essere capitato in un altro mondo.
La prima cosa che mi colpì era uno strano odore greve che appestava l’aria, e che ti prendeva alla bocca dello stomaco, era l’odore di zolfo contenuto nel carbone; le miniere erano in piena attività e gli operai avevano diritto ad una quota di carbone per gli usi familiari, ogni alloggio aveva in dotazione dei fornelli in cui si bruciava carbone per cucinare e ricaldarsi, da quì l’odore nauseabondo per chi come noi veniva dall’aperta campagna e gli odori che si percepivano erano decisamente più gradevoli.
L’altra cosa che mi fece restare a bocca aperta, fù la moltitudine di case tutte insieme, e la loro altezza (tre piani) e sto parlando di una frazione di Carbonia non della città di Tokio.
L’abitato di Cortoghiana è sostanzialmente un lunghissimo viale rettilineo dove si affacciano dal lato destro; un’ininterrotta fila di palazzine di architettura in stile tipico del ventennio fascita, con un lungo portico di fronte ad un’ampia piazza dove c’è la chiesa, la fontana etc-etc, le palazzine come detto sono di tre piani, la zia naturalmente era proprio al terzo.
Non senza vergogna ricordo che feci la prima rampa di scale in piedi,la seconda carponi, e la terza striciando, trainato da mio padre; tale era l’abitudine alle “vertiginose altezze” delle case
Moderne.
Dopo i soliti convenevoli ; mentre gli adulti si raccontavano gli eventi delle rispettive famiglie; visto che pur vivendo a una quindicina di kilometri di distanza non ci si vedeva ne sentiva per parecchi mesi; a volte anni, viste le comunicazioni e i trasporti pubblici totalmente inesistenti nella nostra zona.
A noi bambini venne concessa la libertà di muoverci e affacciarci alla finestra, da quella sul retro dell appartamento potevamo vedere i vagoncini della teleferica che portavano il carbone dalla vicina miniera, al porto di Portovesme, restammo ore a guardare incantati quella teoria ininterrotta di vagoncini appesi su cavi paralleli che andavano e venivano, e che non si fermò neanche un minuto per tutto il giorno.
Dal lato che dava sul lunghissimo viale, invece c’era un balcone con un parapetto di legno, da dove si vedeva la piazza, alcuni vecchi sulle panchine prendevano il sole, qualche rara automobile improvvisamente rompeva il silenzio, ed io con la straordinaria capacità che hanno tutti i bambini del mondo di mettersi nei guai certo non mi tirai indietro.
Noi bambini; abituati come eravamo ai grandi spazi aperti, stare rinchiusi per più di qualche ora in un appartamento piuttosto angusto, (come tutti gli appartamenti dei minatori) la natura di animali rinselvatichiti che era in noi, ci mise poco ad emergere, li inconsciamente capìi il motivo per cui gli animali selvatici ridotti in cattività, intristiscono e spesso muoiono.
La nostra casa era (se possibile) anche più piccola della casa della zia mah; appena fatto colazione subito uscivamo fuori di casa e con i compagnetti ci inventavamo ogni sorta di giochi, quasi sempre erano imitazioni dei lavori dei grandi, comunque se non ci davano qualche mansione si rientrava a casa all’ora di pranzo, per riuscirne subito dopo.
Quindi come detto innanzi sulla capacità dei bambini di cacciarsi nei guai, ero affacciato al balcone che dava sulla piazza; il parapetto era una semplice balaùstra con delle traverse di legno naturalmente essendo troppo basso per arrivare al corrimano, infilai la testa tra le traverse della balaùstra restandoci incastrato, ricordo l’agitazione che pervase tutti, non solo ai miei strilli ma anche perché non c’era verso di liberare il mio testone da quella trappola, usarono ogni sorta di rimedio; acqua saponata, olio di oliva, chi spingeva e chi tirava, e io in preda al panico che mi agitavo come un ossesso non facevo che complicare le cose, infine dopo tanti inutili tentativi; quando già si decideva di operare il taglio o di una traversa, o delle mie orecchie; probabilmente per un violento strattone da parte di mio padre in preda ad un’ira furibonda, venni liberato e con le orecchie lacere in preda ad una vergogna indicibile, ci vollero tutte le intercessioni dei parenti per non prendermi una “ripassata” di quelle da ricordare, da parte di mio padre.
Passata questa “buriana”non passò tanto tempo che ne scoppiò un’altra; lo zio disse; “allùi sa radiu po intendi su gazzettinu” la zia si avvicinò ad uno strano e grosso mobile di legno, mai visto con il frontone di uno strano materiale, traforato e decorato, con intarsi pure di legno, nella parte bassa del fronte di questo strano mobile c’era una banda con dei numeri e delle scritte, e due grosse manopole ai lati, girò una di queste manopole,il frontone si illuminò…. Ehhh scoppiò il finimondo; da questa strana scatola esce un fiume di parole, urla e grida, rumori di robe sbattute, e una moltitudine di voci di tanta gente.
Per la piccola mente ristretta di un bambino, che non aveva mai sentito una radio accesa, dove probabilmente recitavano una commedia, tutta quella gente dentro quella scatola non ci poteva proprio stare.
Casualmente mi trovai proprio vicinissimo alla radio, e a quella “esplosione” improvvisa di voci, mi spaventai a morte e scoppiai in un pianto dirotto che non c’era verso di fermarlo.
Ma non finì lì; durante il pranzo mi capito il posto con la sedia quasi appoggiata ad un barile di vino con “sa cannara” (rubinetto di legno) a portata della mia “manina” incuriosito da quello strano oggetto, allungai la manina e lo aprii; un copioso fiotto di vino nero, come la pece si diffuse nella stanza; “serra sa cannara” urlarono all unisono; spaventato io non ci riuscii, e come detto l’ambiente era angusto ingombro da tavolo, sedie e ospiti ( a questo punto penso sgraditi) prima che qualcuno riuscisse a chiudere “sa cannara” una bella pozza di vino si diffuse nella stanza.
Ora che ne scrivo ricordo i sentimenti che albergavano nell’animo dei presenti; mio padre mi voleva uccidere sul posto, mia madre in preda alla più nera mortificazione, oltre ad allungarmi alcune sberle disse:“arrangiaus is contus in domu”
(a casa faremo i conti) miei fratelli non fiatavano, visto il clima rovente che si era creato, infine i miei parenti; si vedeva da lontano che mi avvrebbero buttato volentieri dal balcone in cui ero rimasto incastrato, mah con la tipica ipocrisìa che viene fuori in questi casi, protessero la mia incolumità facendomi da scudo, con un: “ è unu pippìu; non ndi teni curpa” (non ha colpa e solo un bambino).
Finalmente all’ora convenuta il sig Melis tornò con la macchina per riportarci a casa, fu una liberazione per tutti, per noi bambini che tornavamo alla nostra libertà degli spazi aperti, per i miei genitori, che oltre alle minacciate rappresaglie (che ci furono)..evitarono ulteriori figuracce con i parenti, e per i parenti stessi che finalmente si liberarono di questi “animali selvatici”che gli sconvolsero la giornata.
Si vide nei loro volti il palese sollievo alla nostra partenza, con la tipica ipocrisia che scatta in queste situazioni il “tornate presto”con cui ci accompagnarono alla porta aveva una nota che dire stonata sarebbe poco, anzi; sapeva di falso.
Ci salutarono con trasporto, e ricordo che non ci invitarono più ne a pranzo ne a cena, non so perché; (anche se un sospetto lo avrei).
Tornammo a casa; nessuno fiatava, io non ricordo dove fossi probabilmente mi buttarono nel bagagliaio della “Belvedere”, e ricordo che per lungo tempo non me ne fecero passare una liscia; oltre alle mille incombenze (attingere l’acqua alla fonte, portare il fascio di legna, pulire i locali degli animali da cortile); incombenze non di rado condite con qualche assaggio “de pertia suiranti” (pertica di olivastro flessibile) non mi portarono più neanche dalla nonna: un incubo.
Ma col senno di poi, devo dire che il viaggio a Cortoghiana fu un’esperienza esaltante per un bambino come me, perche feci una tale incetta di “conoscenze” da stendere un cavallo.
Il primo viaggio in automobile, la scoperta di un luogo dove si poteva trasportare del carbone con degli “affari” sospesi per aria ad una lunghissima fune d acciaio; un luogo dove c’erano un gran numero di case; le quali case oltre ad essere tante, erano pure altissime (tre piani), che per entrare in casa bisognava scalare la bellezza di ben sei rampe di scale da far paura, e una volta che eri entrato in casa dovevi tenere la porta sempre chiusa.
Senza parlare delle insidie che c’erano all’ interno di quelle case; strano mobilio dove bastava girare una manopola; si accendevano lucine e una moltitudine di persone si mettevano a parlare tutti insieme, ringhiere di balconi dove potevi restare incastrato, e dove bastava allungare la mano e girare uno strano “affare” di legno, e allagare la casa di vino.
Fu per certi versi come un brusco salto, nel futuro che si annunciava; come un getto di acqua gelata che ti arriva all’immprovviso, che ci lasciò frastornati a lungo, e i nostri compagni che ancora non avevano fatto quel tipo di esperienza; ai nostri racconti; tra incredulità e invidia, ci guardavano come degli alieni.
Apro una breve parentesi per la faccenda dell’altezza delle scale di Cortoghiana: per noi bambini di campagna, l’altezza è un concetto astratto a quanto pare, visto che scalavamo alberi ben più alti per buttar giù i nidi dei passeri, o tentare di scalare “Sa corona”; (una falesia calcarea spettacolare) che fa appunto da
corona al mio villaggio, e correre rischi da brivido per impadronirci dei nidiacei di corvo o di gheppio che facevano il nido tra le cavità della roccia.
Commento: Grazie Terry del tuo commento, si nonostante il tempo difficile e la miseria diffusa, noi abbiamo avuto la fortuna di vivere liberi,all'aria aperta e in ambiente non inquinato da odori "strani" come quello che ben conosci....è passato tanto tempo, ma lo ricordo ancora...
Commento: Ciao, EmmePi, non credo ci sia nessun mistero: avendo il proprietario del Giornale, facoltà di cancellare i commenti non graditi, sotto ogni commento c'è un pulsantino che puoi cliccare per l'eventuale eliminazione e che noi, naturalmente, non vediamo. C'è, poi, il bottone tradizionale per rispondere, mantenendo i commenti. Involontariamente, forse, hai cliccato su quello de commento di Terry e lo hai cancellato!! A me è capitato due o tre volte e, tranne chiedere all'interessato di riscriverlo, non c'è altro modo per recuperarlo!! :-(
Commento: Visto che il mio commento è svanito nel nulla io lo riscrivo .
Caro canifuendi credo di averlo già detto i tuoi racconti mi riportano indietro nel tempo a quando ero bambina ,questo poi mi ha ricordato quell'odore nauseante che si respirava a Carbonia e nei dintorni ,e quel piccolo appartamento ,io ci sono nata e vissuta per diverso tempo ,devo dire che non era male viverci a parte l'odore dell'aria e l'ansia che si leggeva negli occhi delle donne quando i loro uomini ,mariti o figli,erano al lavoro .Ero piccola ma ricordo ancora il suono di una sirena e mia madre con tutte le altre donne che correvano verso la miniera nessuna parlava ,poi ricordo le urla di disperazione di qualcuna e il pianto di tutte le altre ,allora non capivo .
Commento: Si Betty credo sia successo proprio così, ho pigiato il bottone sbagliato, quando ho letto la scritta che mi diceva che il database aveva cancellato il commento speravo si riferisse al mio, invece....E non è servito a niente mettere in campo il mio P.P.T, e neanche (questo indirizzato a me) T.D.C ,,,,e sei un C.....ma tant'è......
Commento: Grazie Terry sei davvero gentile,non solo per averlo riscritto, ma di aver dato il contributo dei tuoi ricordi con la storia della sirena e dello strazio dei parenti delle vittime dei frequenti incidenti che accadevano in miniera; cosa che io non potevo scrivere nei miei ricordi, ma di cui avevo sentito nei racconti di ex minatori, e letto, nel libro di Giulio Angioni Doppio cielo, di cui consiglio la lettura a chiunque per capire bene di cosa parliamo.
P.S Piccola delusione Terry, alla fine del tu commento non hai aggiunto; Bravo Canifuendi con un certo numero di punti esclamativi, sai per un "pavone" narcisista come me ....é importante 8-)))......